In stalla come alla catena di montaggio? No grazie. In questi giorni si è aperta una discussione su un tema per noi molto importante: quello della sostenibilità degli allevamenti. Ad accendere la miccia è stata la Commissione Ambientale dell’Unione Europea, che ha inserito gli allevamenti all’interno della Direttiva sulle emissioni industriali. In altre parole, per Bruxelles la stalla e l’industria “sono pari” in termini di inquinamento e impatto ambientale. Una posizione che ha, inevitabilmente, sollevato una levata di scudi da parte di associazioni, allevatori e professionisti che operano nel settore. Oltre all’aspetto tecnico della questione, c’è anche un problema di natura squisitamente politica che fa emergere una contraddizione anche in seno all’UE. Quanto stabilito dalla Commissione Ambiente, infatti, contraddice in toto il parere espresso dalla Commissione Agricoltura che, nell’aprile scorso, aveva rigettato ogni equiparazione tra industria e allevamento di animali.
Un pasticciaccio con implicazioni politiche rilevanti, visto che qualcuno, come l’Associazione Italiana Allevatori, parla già di “attacco alla sovranità alimentare” e qualcun altro, come la Cia Agricoltori Italiani, evidenzia come sia “ingiusto e scorretto equiparare la zootecnia a settori altamente industrializzati”. Il fulmine viene scagliato dall’UE su un cielo tutt’altro che limpido per l’intero settore zootecnico italiano, ma non solo. I nostri allevatori, come abbiamo più volte ricordato, sono ancora alle prese con delle criticità forti e strutturali: dall’aumento delle materie prime al costo dell’energia fino alle incertezze internazionali dovute, in primis, alla guerra russo – ucraina. E questa solo per stare alla cornice nella quale tanti professionisti della filiera zootecnica si trovano a operare. C’è poi una perplessità di fondo che si lega al merito del tema sollevato dalla Commissione Ambiente di Bruxelles. Sempre la Cia sottolinea come, a fronte di un’incidenza degli allevamenti sulle emissioni complessive tra il 7 e il 10 per cento, l’Italia si colloca a un virtuoso 5 per cento in quanto a emissioni di anidride carbonica. Già questo potrebbe far storcere la bocca a più di un allevatore che si vede messo sullo stesso piano di un industriale siderurgico o metallurgico.
Se poi si vuole accendere i riflettori sulla filiera del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP, diciamo che l’equiparazione diventa ancora più insostenibile e ingiusta. I nostri attuali 3.281 allevatori, infatti, si contraddistinguono, nella stragrande maggioranza, per essere piccole realtà imprenditoriali con un numero limitati di capi, dove la qualità, anche delle strutture e della cura degli animali, spicca decisamente rispetto alla quantità. Non è solo perché abbiamo questo tipo di sensibilità nei confronti del nostro lavoro, ma anche perché seguiamo un disciplinare che, tra le righe e spesso esplicitamente, fa riferimento a questo tipo di approccio nei confronti degli animali e dei territori di riferimento.
Cosa c’entra questo con le emissioni? C’entra eccome. Tutta la nostra filiera, infatti, si basa su questo processo virtuoso, che va dalla tutela del territorio attraverso l’utilizzo dei pascoli, dei territori marginali e dei nostri animali fino all’arrivo del prodotto sulla tavola delle famiglie. Tutto questo avviene attraverso controlli, passaggio dopo passaggio dagli organi di vigilanza preposti, che monitorano anche i procedimenti virtuosi legati alla sostenibilità ambientale.. Ogni nostro allevamento e ogni impresa assoggettata ai controlli del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP sono una garanzia di tutela e rispetto dell’ambiente. E questo non perché siamo più buoni e più bravi degli altri, ma perché è il nostro prodotto che deve la sua eccellenza e la sua unicità a questo tipo di approccio, dove l’allevamento estensivo, l’utilizzo dei pascoli e dei terreni marginali e il rispetto totale per l’animale e per l’ambiente deriva non solamente dal rispetto di normative cogenti ma soprattutto da una cultura storica che caratterizza queste produzioni da secoli.
Lungi da noi il lanciare una crociata contro le politiche dell’UE o, men che meno, aprire una guerra con chi opera nel mondo dell’industria. Si riprenda il contatto con la realtà – è quanto chiediamo a chi ha voluto questo provvedimento – e non si confonda un allevamento con un’industria. Sarebbe un errore dalle conseguenze gravissime.