Che il made in Italy fosse un marchio riconosciuto in tutto il mondo lo sapevamo. Se poi facciamo riferimento all’agroalimentare, allora potremmo parlare di un modello invidiato in tutto il mondo. La filiera italiana non sarà sicuramente la più grande per quanto riguarda la produzione, ma quanto a qualità l’Italia non è seconda a nessuna. A corroborare questa tesi non siamo noi, ma Mauro Rosati, Direttore Generale della Fondazione Qualivita e di Origin Italia, che da oltre 20 anni si occupa di tutelare e promuovere la filiera agroalimentare italiana attraverso la valorizzazione dei marchi certificati. Abbiamo deciso di fare due chiacchiere con lui sul mondo dell’agroalimentare italiano, facendo il punto della situazione su un settore che da tempo genera ricchezza, sia culturale che economica, nel nostro Paese.
Direttore, pochi giorni fa si è svolta l’assemblea dei soci di Origin Italia che ha rinnovato il Consiglio Direttivo e dato il via a un nuovo percorso per la sostenibilità delle filiere di qualità territoriali. Di cosa si tratta nello specifico?
“I Consorzi di tutela hanno aderito alla strategia sulla sostenibilità delle filiere disegnata dalla FAO qualche mese fa tenendo conto di oltre 470 criteri. Un modello che unisce il mondo agroalimentare italiano, improntando un lavoro virtuoso e concreto con l’obiettivo di impostare uno standard unico di sostenibilità per tutta la filiera italiana. Questo progetto durerà circa 4/5 anni, cercando di raggiungere lo standard ideato dalla FAO entro il 2030”.
Lo sviluppo e la tutela delle Indicazioni Geografiche sono anche al centro del nuovo regolamento Ue curato dall’europarlamentare Paolo De Castro e firmato poche settimane fa. Cosa prevede e quali benefici può portare?
“Il nuovo regolamento europeo oggi è diventato realtà. Finalmente è stato messo sul campo uno strumento che, in questo settore, mancava da tempo e consentirà di accogliere le evoluzioni delle filiere agroalimentari. Uno strumento che ci permetterà di affrontare le tematiche e le normative che vengono imposte, cercando di essere sempre più competitivi sul mercato. Tutto questo ci consentirà di gestire meglio i Consorzi di tutela, di pensare a un modello di bilancio di sostenibilità, di creare una serie di nuovi meccanismi che permetteranno ai Consorzi, e in particolare alle imprese, di avere un prodotto più protetto anche a livello internazionale cogliendo le occasioni dei mercati”.
Qual è oggi il valore della Dop economy in Italia e quali sono le prospettive guardando al futuro e ai nuovi strumenti attivati?
“Sicuramente il territorio sarà ed è alla base di ogni produzione agricola. Oggi ci scontriamo con una serie di fattori, come la carne sintetica, che mettono sotto un’altra lente il settore agroalimentare, ma penso che i nostri prodotti, oltre a raccontare la qualità, spieghino soprattutto la storia del nostro territorio. Oggi la Dop economy rappresenta una fetta importante della nostra economia, che genera sul territorio oltre 20 miliardi di euro. Non è solo impresa, ma è un qualcosa di più grande che racconta la storia, la cultura e la qualità del nostro Paese”.
Quanto sono importanti i Consorzi di tutela per promuovere le eccellenze agroalimentari di qualità del made in Italy?
“In un mercato globale è normale che si cerchi di danneggiare gli altri. La Francia parla male dell’Italia, lo stesso gli Stati Uniti. Abbiamo però le spalle larghe, abbiamo prodotti di qualità e poi abbiamo una cosa che gli altri non hanno: sappiamo lavorare i prodotti, su questo non siamo secondi a nessuno, è una caratteristica che ci invidiano molte nazioni. Poi se andiamo a parlare di grande industria e multinazionali, è ovvio che non siamo competitivi e che siamo orientati verso un altro orizzonte. Quello che è stato sempre il nostro impegno è quello di rafforzare i Consorzi di tutela perché, quando si fa coesione, è chiaro che si rafforza anche la singola azienda. Ogni tanto, però, gli imprenditori fanno fatica a capire questo meccanismo perché individuano nel Consorzio un settore non performante, ma in verità fa solo bene all’impresa. Si devono fidare”.
Nel 1998 il Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP è stato il primo marchio di qualità per le carni bovine fresche approvato dall’Unione Europea per l’Italia. Una delle certificazioni più longeve che lo scorso anno ha festeggiato i 25 anni e che fa parte fin dall’inizio di OrigIn Italia.
“Il Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP è un’indicazione storica italiana che credo richiami davvero l’essenza stessa delle DOP e IGP italiane, non solo perché è stato il primo, ma anche perché, nel settore delle carni fresche, è un Consorzio che funziona bene e un prodotto riconosciuto sul mercato. La strategia impostata dal Consorzio con le sue tre razze è ben riuscita facendosi capofila di una filiera che ha mostrato nel tempo una capacità di produzione capace di racchiudere tutti i valori simbolo del made in Italy. Spero che questo modello sia di ispirazione per aiutare gli altri Consorzi a percorrere la stessa strada”.